Dal Bar della Stazione al teatro d’avanguardia, dalla teologia al sociale
di Valerio Maggio
Per quasi mezzo secolo (una vita!) i nostri “percorsi” si sono intrecciati ed anche quando situazioni famigliari, lavorative e quant’altro sembravano allontanarci c’era sempre quel quid che sapeva tenerci vicini. Bastava una telefonata. Attraverso questa solida amicizia ho accompagnato la sfrenata vitalità di Margherita, la sua “resistenza alla sottomissione”, lo spirito di rivolta.
Nel 1972, giovanissima si era affacciata con le sue amiche più care (Maura Vergnano, Simonetta Preti, Luisa Manolino) al bar della Stazione dove diversi frequentatori – con una decina d’anni in più – tenteranno di flirtare con loro, alcuni con clamorose debacle, altri con successo, fino a portarle all’altare.
A volte frequentavo quel bar insieme a Marco Civera e Nino Fornaca – a quel tempo pezzi da novanta del Moto club Giovanni Franchino – ma non abbiamo mai fatto parte di quei “Don Giovanni” in sedicesimo, chi perché già impegnato (i primi due) chi (come me) anche per una buona dose di imbranatura. Fatto sta che tutto ciò ci ha subito consentito di instaurare con il quartetto, ma soprattutto con Margherita, un rapporto di fiducia tale da permetterle di raccontare – dapprima a tutti e tre, negli anni successivi solo a me (eravamo gli unici due ad essere rimasti single) – le «sue paure, l’intreccio dei suoi umori, i suoi vortici d’affetto» come scriveva con successo, proprio in quel periodo, Pier Vittorio Tondelli nel suo romanzo Pao Pao.
La Renault di Civera (sostituita poco più tardi da una innovativa R 16), la 124 di Fornaca e la mia più proletaria 127 sono diventate per mesi, per anni, tirando fino a tardi, dei “confessionali laici” dove Margherita – indossato il suo profumo patchouli «manifesto aromatico della contestazione femminile» – ci faceva partecipi della sua costante inquietudine, dei suoi sempre tormentati amori, dei suoi dubbi, complice il sottofondo musicale di Simon & Garfunkel, del sassofono di Fausto Papetti, delle colonne sonore di Ennio Morricone o del film Jesus Christ Superstar (l’abbiamo visto insieme almeno quattro volte in una stagione).
Non ci domandava quasi mai: “come la pensi?”. Del resto non era quello il momento in cui si potessero esprimere consigli o proporre soluzioni a una ragazza allora davvero femminista incallita. Ragionava con noi – con me – finché non avesse avuto chiara una “sua” obiettiva presa di coscienza di quanto stesse accadendo attorno a lei per poi scegliere, decidere e agire di conseguenza.
Mi sono chiesto spesso se l’educazione cattolica ricevuta nell’infanzia e nell’adolescenza, tra parrocchia e oratorio, carica di regole e divieti, pesasse ancora in lei e ancora fosse capace di influenzare o di mettere in crisi le sue scelte. Fede e vita religiosa da un alto e la continua ricerca di una visione liberante della sua vita dall’altro, si sono spesso incrociate, sovrapposte, ostacolate a vicenda. Ho ragione di ritenere che quella educazione cattolica in qualche caso sia diventata pietra d’inciampo; molto più spesso però è risultata, al di là di tutto, un lievito prezioso. Lievito che le ha permesso in gioventù di crescere per “sperimentare”, “scoprire”, “osare” facendo proprie – anche a costo di pagare di persona – quelle nuove e stimolanti proposte provenienti dall’incendiario clima post ‘68 presente anche a Chieri; e in seguito, negli anni della maturità, quel lievito le è stato utile per trarre da quei progetti giovanili – a volte sin troppo arditi e controcorrente ma mai rinnegati (al contrario di altre figure cittadine) – esperienze e materiali da mettere al servizio della comunità, come già ha ben raccontato chi mi ha preceduto su queste pagine.Alcune di quelle “proposte” le abbiamo vissute insieme. Dal 1972, e per quattro anni, Chieri è stata la sede del Festival I Giovani per i Giovani, rassegna sperimentale di teatro, cinema, musica e arti dell’espressione, ospitando spettacoli del teatro d’ avanguardia firmati da famosi registi e da attori di tutto rilievo: Manuela Kusterman Memè Perlini, Carlo Cecchi, Leopoldo Mastelloni. Un simile parterre de roi regalò al mondo giovanile cittadino una boccata di vivacità culturale e a Margherita sollecitò il desiderio di confrontarsi con il “nuovo che avanza”. Si mise al fianco di Maura Martano – tra i principali responsabili del Festival – in qualità di volontaria collaborando nell’organizzazione e nei rapporti con gli attori. Fu così che una sera la famiglia Ronco – non curante dell’esplicita contrarietà di nonna Ruseta (una donna all’antica) – ebbe ospite a tavola Leopoldo Mastelloni, poliedrico attore napoletano allora sulla cresta dell’onda, omosessuale dichiarato. Uno che rompeva gli schemi, che indossava, anche fuori scena, sgargianti sciarpe e camicie di seta ricche di vollant su attillatissimi pantaloni. L’aveva invitato Margherita colpita dal suo genio provocatore, incurante di quanto avrebbe potuto dire un certo mondo cittadino piccolo borghese piuttosto ipocrita e non ancora capace di accettare con un sorriso certi tipi di provocazione.
Diplomatasi geometra, in quegli anni di fermento, piuttosto che la politica istituzionale a Margherita interessava pensare e vivere il sociale: di qui, la sua temporanea adesione al locale gruppo di Lotta Continua, la presenza nella ‘comune’ del Chiaventone, la partecipazione ai collettivi femministi cittadini più arrabbiati.
Nei weekend accoglie a Pino d’Asti in un alloggetto – camera e cucina da lei preso in affitto – coppie spaiate, single incalliti un po’ attempati o già di ritorno da esperienze matrimoniali finite malamente, nostalgici sessantottini. Dopo lunghe passeggiate in campagna, dopo un bicchiere di vino e una sigaretta, non sempre rotolata con tabacco del monopolio, le serate si concludevano spesso con una spaghettata gigante, prima di un dopocena a volte un po’ piccante, almeno per l’epoca.
A metà degli anni Ottanta un’altra sterzata, questa volta ancora più clamorosa: sotto lo sguardo attento di don Gianni Carrù, frequenta con assiduità la parrocchia del Duomo, si iscrive alla facoltà di teologia, entra a far parte della famiglia scout, apre la “sua” prima scuola privata: l’Agorà di via San Domenico.
Parallelamente il cuore politico ricomincia a battere: dapprima per la lista civica “Insieme per Chieri”, poi a livello nazionale per Leoluca Orlando e la Rete, infine si stabilizzerà sulle linee programmatiche del variegato mondo del centro-sinistra: P.D.S., D.S. Ulivo, P.D. Questa volta si tratterà di una lunga militanza che la porterà a diventare “grande elettrice” dei futuri sindaci Vergnano, Gay, e Martano. La casa dei “suoi” diventerà sede elettorale dei candidati sindaci grazie all’innata disponibilità a condividere spazi, luoghi, idee con chi appariva degno della sua disinteressata – e sottolineo disinteressata – amicizia.
(Foto da profilo Facebook – Ulteriore contributo iconografico: Teresa Lazzero)