CENTOTORRI/SFOGLIA LA RIVISTA. CHIERI COM’ERA. Quei giorni di aprile ’45, presi in ostaggio dai fascisti…

La storia di 25 cittadini chieresi nel momento finale della lotta per la liberazione

di Valerio Maggio

 

Nell’anniversario della Liberazione già in altre occasioni ho attinto all’opuscolo di Paolo Merlino che narra la drammatica esperienza, sua e di altri ventiquattro chieresi, tenuti in ostaggio – nel periodo 18 / 24 aprile 1945 – dopo essere stati prelevati dai fascisti, casa per casa, e trasferiti nel carcere delle Nuove di Torino mentre un altro gruppo radunava – ai due lati di piazza Cavour  – sotto la minaccia delle armi, da una parte alcuni padri Gesuiti e dall’altra semplici cittadini inermi, minacciando la loro fucilazione. Azione voluta nel tentativo di garantire la vita ai ‘brigatisti neri’ fatti prigionieri dalle forze parigiane nel momento della liberazione di Chieri.  Merlino, all’epoca dei fatti, aveva sessantaquattro anni, uno tra i più anziani del gruppo composto anche da: «Quarà cav. Vittorio e figlio, Romita avv. Giovanni e figlio, Cabrini ing. Paolo, Gramegna ing. Giulio, Pavesio can. Giovanni, Gilforte rag. Enrico, Pierandozzi m.lo Giuseppe, Scalero Angelo, Negro Claudio, Martano Giuseppe tipografo, Martano Giovanni, Morando Michele, Pasqualotto Attilio, Poggio Giovanni, Fausone Luigi, Urbani Enrico, Malotti dott. Elio, Sanguedolce Camillo, Mattioda, Bignaud Piero, un venditore di menta proveniente dal Canavesano, di passaggio a Chieri di cui mi sfugge il nome – annota lo stesso Merlino – e da Rossetti Gino». (Quest’ultimo di soli diciannove anni). Sfogliando in questi giorni Il Chierese del 1946 scopro un inedito: Rossetti sulle colonne del settimanale, un anno dopo i fatti, racconta la sua tragica esperienza alle Nuove con dovizia di particolari chiedendosi: «In base a quale criterio siamo stati scelti? Non sappiamo. Mistero delle cose umane! (o non piuttosto ingiustizia belle e buona). Ci conducono in uno stanzone, affidati a dei ragazzi di una decina d’anni che ci guardano indifferenti. Non sappiamo perché siamo lì, non li interessiamo, a loro bastano le armi. Uno batte il record: ha otto anni e un pistolone lungo come le sue gambe. Han ricevuto la consegna di sparare si chi tenta di fuggire e possiamo essere certi che la eseguiscono a puntino; la mamma ce l’hanno è una di quelle che dicono: “Come spara bene mio figlio”. Effetto dell’educazione e i genitori ne portano la tremenda responsabilità. Conseguenze di un governo e di uomini che affidano le armi a dei bimbi appena nati. (…). Il giorno appresso: “Andate via” – “Dove?” – “A casa”. Un sorriso ironico ci tronca le speranze, un furgoncino ci attende. Passando sento il commento di due della brigata: “Dove vanno questi? Speriamo al Martinetto (luogo prescelto per molte fucilazioni n.d.r.)” e ridono soddisfatti. Dopo un breve percorso che ci pare un secolo ecco stagliarsi avanti alla macchina il massiccio delle ‘Nuove’ (saranno rinchiusi nel V Braccio n.d.r.) coi suoi imprevisti, col suo mondo veramente ‘nuovo’ per noi». Soltanto martedì 24 il gruppo, dopo tanto spavento, proveranno l’immensa gioia della liberazione. Scrive Merlino: «Mi alzo con i nervi tesi (… ) poi, finalmente, ho una distrazione. Vedo una cella lasciata libera, vi entro, osservo, leggo le solite iscrizioni dei carcerati (…). Una piccola immagine appiccicata al muro, in mezzo a tante laidezze, attrae il mio sguardo: “Ecco – ripeto – il Beato Cafasso, il grande amico dei carcerati” (…). Delicatamente la stacco, la nascondo in tasca (…). Ritorno alla mia cella e la appiccico alla porta. Non altrove, perché Egli deve aprirci questa prigione, deve darci la libertà (…). Sono quasi le 16 quando i miei compagni mi cercano mi gridano: “siamo liberi” (…) Ancora non posso credere: la grazia del Beato è venuta benefica».

P.S. Gino Rossetti (nella foto), proseguirà gli studi sino a conseguire la laurea in medicina. Diventerà nei decenni successivi punto di riferimento per i malati dapprima come analista dell’Ospedale di Chieri (parte infatti da quella specializzazione la sua lunga presenza al ‘Maggiore’), poi come ‘aiuto’ della Divisione di Medicina, infine come Medico di base  esperto ed infaticabile, in grado di mettere a frutto l’esperienza e la professionalità acquisita presso il nostro nosocomio.