50 anni fa, un impresa calcistica festeggiata da Fanciòt, un bar…leggendario
di Valerio Maggio
Compie tra poco mezzo secolo di vita (stagione 1973/74) una tra le più importanti imprese calcistiche targate Leo ovvero: il passaggio alla 2° Divisione sotto l’inossidabile guida del trainer Michele Fontana (1937 – 2017), per circa un venticinquennio (1958/1982) dirigente, allenatore, scopritore di nuovi talenti. Un traguardo festeggiato negli spazi del bar Soria (da Fanciòt) – a pochi metri dall’ingresso dell’Oratorio san Luigi – diventato luogo di ritrovo della compagine salesiana e dei suoi sostenitori. L’impegno sportivo di Fontana corre infatti parallelo a quello dei direttori che hanno guidato nel tempo l’Oratorio e, in particolare, con quello di don Francesco Baracco.
Dietro un carattere apparentemente burbero il ‘don’ – si direbbe oggi – nascondeva infatti una ferrea volontà di portare avanti con sempre maggior forza il binomio ‘sport – educazione oratoriana’ componenti essenziali della salesianità dove, però, molto spesso, era il primo a far da traino al secondo fino a sovrastarlo. Di tutto ciò Michele Fontana ne rappresentò l’essenza capace com’era di mettere in piedi, in quei decenni, la più formidabile Leo – forte a 11 – imbattibile a 7 nei tornei notturni dapprima organizzati sul campetto in terra battuta a San Luigi, poi a San Carlo e, infine, al Comunale di Porta Torino. La memoria dei più vecchi è fedelmente appesa alle partite giocate all’ombra della chiesa di Santa Margherita con la formula a 7 giocatori – inventata molto tempo prima “per esigenze di spazio – ricordava ironicamente Giuseppe Franco memoria storica dei salesiani chieresi – perché in ventidue proprio non ci si stava”. Al centro di dette kermesse Fontana si fa in quattro perché tutto fili liscio, cosa non facile poiché quel rettangolo raduna oltre ai migliori, ai più promettenti giocatori – non solo della zona ma dell’intera provincia – anche atleti un po’ troppo focosi nel difendere i colori della propria squadra. Ne seguivano partite al calor bianco che talora degeneravano in risse sedate da don Baracco con lo spegnimento dell’impianto di illuminazione seguito da un perentorio “Tutti a casa”. “Un campanilismo, eccessivo per usare un eufemismo – ricorderà molto più tardi il giocatore Roberto Manolino figlio di quell’ambiente – che diventava ancora più incandescente quando ad affrontarsi, in combattutissime stracittadine, erano i padroni di casa della Leo e la Fulgor dei Gesuiti di Sant’Antonio resi entrambi più forti dall’innesto di ‘oriundi’ reclutati persino tra le seconde file granata e bianconere oltre che dalla prima squadra dell’A.C.Chieri”.
Soprattutto in questi casi Michele Fontana era lì pronto a ‘dire la sua’ (sic!) paladino com’era nel difendere a spada tratta i padroni di casa in maglia arancione. Al di là di quei momentanei bollori estivi la sua carriera è un continuo susseguirsi di impegni societari – spesso contrastanti con quelli lavorativi (dapprima come dipendente poi come addetto nel campo della ristorazione) – volti a rendere sempre più competitiva la sua creatura. Creatura imbattibile su quel campetto allestito all’interno dell’oratorio – che di regolamentare aveva ben poco anche dopo gli aggiustamenti – trasformato, però, in ‘ventre’ della Leo. Da quelle parti sono cresciute nidiate di imberbi calciatori e anche qualche giovane dal sicuro avvenire. Là gli oratoriani tifosi hanno trasmesso il loro Dna colorato di arancione (colore sociale meglio conosciuto a quei tempi come ‘color ed pum môrdu da lì ‘n quart d’ôra’ (colore della mela pochi minuti dopo un morso n.d.r.). Un popolo di cui Michele Fontana è stato per molti lustri parte integrante chiedendo ogni volta alla sua squadra, al momento della discesa in campo, massima determinazione, cuore e tantissima grinta. Anche troppa.