CENTOTORRI/SFOGLIA LA RIVISTA – COME ERAVAMO Peirò, chi era costui? A Chieri era il nomignolo di Gianfranco…

Storie di calcio anni ’60: l’originale giocava nel toro, l’altro a San Carlo

di Valerio Maggio

 

Lo scorso fine anno registra la morte di uno degli ultimi ‘guru’ del giornalismo sportivo italiano. È venuto infatti a mancare Gian Paolo Ormezzano (grande tifoso del Toro). Il quotidiano La Stampa – volendo ricordare gli anni in cui era stato un suo inviato speciale ma anche la sua direzione di Tuttosport e la collaborazione con il Guerin Sportivo – lo ha commemorato ripubblicando un suo articolo del 2 maggio 1989 dal titolo: ‘La leggenda del vecchio Filadelfia’. «Non riesco a sapere come ma dicono che ci stavamo in trentacinquemila – scrive Ormezzano -. Ero piccolo (siamo a fine anni ’40 n.d.r.) e mio padre mi portava sempre in un posto di una curva dove si rimaneva comunque larghi, dove potevo vedere bene, e da dove si poteva partire, nell’intervallo, per il viaggio da porta a porta (…) per seguire il portiere avversario e continuare a narrargli di cosa stava facendo sua moglie in quel momento [perché] il vero tifoso si informava perfettamente sulla situazione famigliare dell’ estremo difensore avversario, come diceva Carosio nelle sue radiocronache. (…) Mio papà non voleva che stessi subito dietro al portiere nemico perché imparavo le parolacce». Leggendo quel frammento di storia granata – da tiepido ma pur sempre tifoso del Toro – mi è tornata alla mente la mia ‘prima volta’ (l’unica) al Filadelfia accompagnato da mio padre e dal suo carissimo amico l’industriale tessile Mario Sapino, suo datore di lavoro, ma soprattutto compagno di moltissime avventure calcistiche – cui partecipavo spesso anch’io – sui rettangoli di gioco di mezzo Piemonte e non solo. Era la domenica in cui l’ultimo acquisto della squadra granata sarebbe sceso in campo per la prima volta tra le mura amiche. Si chiamava Joaquin Peirò (nella foto con la maglia dell’Inter): un calciatore spagnolo che dopo un paio di stagioni di rodaggio nelle file del Toro sarebbe diventato una importante pedina indossando le casacche dell’Inter e della Roma. Sopranominato ‘lo spagnolo triste’ mi colpì sin da subito sia per quanto era capace di fare in campo, sia per il suo ‘privato’. Scriveranno di lui Franco Ossola e Giampaolo Muliari nel loro libro ‘Un secolo di Toro, tra leggenda e storia cent’anni di vita granata’: «Suona il piano e strimpellando sogna chissà quali vittorie. (…) Ha il sangue latino ma il temperamento malinconico e quasi distaccato di un nordico che, in solitudine, vede la vita che passa meditando. (…). Gioca a metà campo, con licenza di fare un po’ quello che vuole, non da ultimo mettere la palla nella rete altrui (…) nel Toro gioca con i calzettoni arrotolati, abbassati sino alle scarpe, come ama fare Sivori (…) sulla sponda opposta». Continuerà ad essere un mio beniamino pur difendendo i colori di altre società anche perché, nel frattempo, nell’ambiente calcistico chierese un caro amico, Gianfranco Boero, (nella foto primo a sn. In casacca nera dove è riconoscibile anche l‘arbitro chierese Casagrande) – lui sì incallito tifoso granata – si sta mettendo in luce attraverso caratteristiche tecniche, agonistiche e di carattere (fuori dal campo mi ha fornito i primi rudimenti sul come orientarmi in fatto di letteratura e di musica essendone lui stesso un grande conoscitore) che richiamano in modo sorprendente lo stile dello spagnolo. Non sarà una carriera eccezionale la sua, ma, chi ancora lo ricorda, saprà che per alcune stagioni, a metà degli anni ’60, la locale tifoseria lo indicherà soltanto con il nomignolo di Peirò. Un Peirò ‘de noantri’ s’intende – anche lui con i calzettoni arrotolati – che, chiusa la carriera, continuerà per qualche tempo ad interessarsi di calcio essendo nel frattempo entrato a far parte, in qualità di consigliere, del direttivo della Fulgor, allora tra le compagini di vertice dei campionati Csi. (Centro sportivo italiano).