Nato nel 1928, morì nel 2003. uno «spirito d’arte nuovo, aperto ed irrequieto»
di Valerio Maggio
Edoardo Ferrero, nato nel 1928, muore nel 2003 – poco più di vent’anni fa – dopo una vita segnata dal lavoro in Fiat, non sempre digerito con calma, ma sopportato grazie alla sua innata passione per la pittura. Già da giovane si sentiva un “chiamato” tanto da trovarlo quasi subito a fianco del domenicano padre Angelico Pistarino; un pittore, quest’ultimo, che aveva saputo portare a Chieri – nel periodo tra le due guerre ma anche oltre – uno «spirito d’arte nuovo, aperto ed irrequieto». I critici scriveranno di Edoardo Ferrero – maestro della prospettiva – come di un artista «capace di contraddire il mito del nemo propheta in patria» confermandogli sempre lusinghieri apprezzamenti durante il suo lungo cammino nel mondo del figurativo. Col tempo, però, il suo essere fautore radicale ed intransigente di una estrema libertà personale e politica, il suo rifiuto ad assoggettarsi alle aride leggi del mercato lo porteranno ad un parziale isolamento dalla vita artistica e culturale cittadina (non sarà così in altri contesti regionali o interregionali) sino a vederlo spesso escluso dalla “Navetta d’Oro” (importante concorso pittorico, tra il 1965 ed 1972, abbinato alla Fiera di san Martino «frutto della fortunata combinazione di più fattori – scriverà molto più tardi Agostino Gay – tra cui l’ottimismo intelligente della giovane Pro Chieri»).Malgrado ciò Edoardo Ferrero dal suo minuscolo studio soppalcato che si affacciava su di un buio cortile al civico 10 di via san Pietro (luogo non ideale per “ragionare” di pittura) riuscirà a trasmettere – con i suoi dipinti molto spesso frutto di incancellabili ricordi – «la luminosità» definita come «contrappunto di origine casoratiana». Ricordi che potevano essere scorci di Noli – luogo che amava profondamente – già allora incalzati della speculazione edilizia. Altre volte poteva trattarsi di angoli del centro storico di Chieri o della campagna circostante (soprattutto nel periodo in cui dipingeva su fondo nero); altre volte ancora di ‘marine’ (raramente nature morte). Il tutto rappresentato avendo imboccato «una personalissima strada nel mondo dell’arte: perseverando nella propria operazione con univocità rappresentativa incentrata su scorci espressi con una sua tecnica divenuta caratteristica».