Battistero
Quando, all’inizio del XV secolo, la vecchia Collegiata, fondata attorno al Mille dal vescovo Landolfo di Torino, venne demolita per costruirne un’altra più grande, furono “risparmiati” la cripta e il bel battistero. Ecco perché alla grande mole gotica quattrocentesca si affianca un edificio battesimale di chiaro impianto romanico.
Un battistero che, come la chiesa di cui faceva parte, sorge su un sito la cui storia si perde nella notte dei tempi. Dai risultati degli scavi eseguiti negli anni 1958-66 e 1988-93 sono emerse testimonianze di epoche diverse. Su tracce risalenti al I secolo a. C., a partire dal V secolo fu impiantato un cimitero che venne utilizzato fino al secolo X e sopra il quale nel secolo XI venne costruito il battistero landolfiano.
Quest’ultimo presenta una pianta ottagonale con nicchie alternativamente rettangolari e semicircolari. La muratura è eseguita con mattoni, molti dei quali romani, o interi o spezzati in piccoli blocchi, posti spesso a spina di pesce.
Nel 1365, quando ancora esisteva la chiesa di Landolfo, il battistero era stato dato in patronato ai Simeone de’ Balbis. Nel 1432, quando ormai era quasi terminata la Collegiata nuova, il Capitolo lo concesse alla famiglia Tana.
Sopra l’altare del battistero c’è un bel polittico alla cui base si legge: “Questa anchona è stata facta per li nobili ac generosi D.no Ludovico et Thomeno a Tanis, ex cond.nis Santinae, pro uno legato facto de quondam suo fratello magnifico Cavaliero Hierosolimitano frate Thomaso morto in Rodi 1503. Comandato per lo Rev.mo Grande Meistro in Rodo con certe galee contra i Turchi in defensione della fede catolica, il quale in la dicta battaglia per martire per la fede catolica cum altri molti cavalieri restarono con grandissimo honore de la Rev.ma Religione con una grande victoria e grandissimo honore”.
La pala, quindi, è stata fatta dipingere nel 1503 dai fratelli Ludovico e Tomeno Tana in ossequio ad una clausola del testamento emesso il 13 ottobre 1492 dal terzo fratello, Tommaso, prima di partire per l’isola di Rodi dove sarebbe morto combattendo contro i turchi.
In passato ritenuto opera di Defendente Ferrari o di Martino Spanzotti, più recentemente è stato attribuito al pittore fiammingo Gomar Davers, o d’Anvers, e a Francesco Berglandi, artista chierese originario di Mombello o, comunque, a due diversi pittori entrambi di esperienza franco-fiamminga. Si è anche ipotizzato che nel comporre il polittico siano stati utilizzati dipinti già esistenti.
Il quadro centrale è occupato dalla scena della Natività, di chiara ispirazione nordica, ai cui lati, in ossequio alla volontà del testatore, compaiono i santi Giovanni Battista e Tommaso apostolo. Nel registro superiore compare la Madonna col Bambino fiancheggiata da San Giorgio e da San Girolamo (nell’atto di togliere la spina dalla zampa del leone). Nella predella sono raffigurati gli Apostoli, sei per parte, e, al centro, Cristo benedicente. Gli scomparti sono scanditi da cornici gotiche.
Scrive il Bosio (1878) che “Il trittico era chiuso come tutti gli altri da portine… dipinte entro e fuori, da ambe le parti: in una vi era espressa la Sacra Famiglia, cioè la Beata Vergine col divino infante, S. Anna, ecc. nell’altra un santo Vescovo in piviale inginocchiato avanti l’altare con turibolo in mano: il Battista che battezza Cristo su cui vi era la colomba…”. Sulle ante erano scritti i nomi di Gomar Davers e Francesco Berglandi, che il Bosio ritenne autori delle medesime. Probabilmente, invece, essi hanno dipinto tutto il polittico.
All’inizio del Quattrocento, l’ottagonale battistero romanico venne rialzato di qualche metro per armonizzarne la struttura romanica al maggiore slancio gotico della nuova chiesa. Nella fascia che si era venuta a creare al di sotto della volta, fra il 1432 e il 1435 i Tana da Guglielmetto Fantini, allievo di Giacomo Jaquerio, fecero affrescare la Passione di Cristo : un ciclo di quindici scene, due per ognuna faccia dell’ottagono, ad eccezione della Crocifissione che, da sola, occupa l’intera faccia corrispondente all’altare. Il ciclo inizia con la Resurrezione di Lazzaro e prosegue con l’Entrata di Gesù a Gerusalemme, l’Ultima Cena, la Lavanda dei piedi, Giuda che riceve i denari del tradimento, Gesù nel Getsemani, il Bacio di Giuda, Gesù davanti ad Anna, a Caifa e a Pilato, la Flagellazione, Gesù davanti ad Erode, l’Incoronazione di spine, Pilato che si lava le mani e, da ultimo, la Crocifissione.
Guglielmetto Fantini, nel diversificato mondo artistico chierese, dimostra di aver aderito più di altri al linguaggio del gotico internazionale caratteristico di Giacomo Jaquerio, che accosta l’eleganza e i preziosismi del gotico “cortese” a elementi espressionistici e popolareggianti. Probabilmente, ne aveva visto e studiato il capolavoro all’abbazia di S. Antonio di Ranverso. Qualcuno ha perfino immaginato una sua partecipazione alla realizzazione di quell’opera, tanto evidenti sono i punti di contatto fra i due cicli, riscontrabili nei toni drammatici, nei colori forti, nel disegno duro e nel forte espressionismo (di cui sono esempi evidenti i visi grotteschi e caricaturali dei soldati, i lineamenti grifagni di Giuda che riceve i denari del tradimento e dei ceffi che glieli consegnano, l’aspetto carnevalesco di alcune figure: il brutto come simbolo della malvagità del cuore e del peccato, secondo la migliore tradizione medioevale…”. (A. Mignozzetti, 2007).
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