Cappella di San Filippo Neri
Nel 1681, quando venne consacrata, la chiesa di San Filippo Neri era terminata quanto alla struttura ma non in molti accessori. Le cappelle, in particolare, erano disadorne e gli altari, costruiti in laterizio e con decorazioni in legno e in tela, erano considerati provvisori dai padri Oratoriani, i quali aspettavano il momento propizio per sostituirli con più prestigiose strutture in marmo. Il primo ad essere ricostruito, nel 1707, fu l’altar maggiore. Poi fu la volta di quello della cappella di San Filippo Neri.
Il nuovo altare marmoreo venne realizzato per iniziativa e a spese del padre filippino Francesco Amedeo Ormea. Il progetto è dell’architetto Pietro Paolo Cerutti. Esecutori furono i marmisti Pietro Calderaro e Paolo Ferretti. I lavori iniziarono nel 1708 e furono portati a termine nel 1811, dopo un’interruzione dovuta alla guerra che in quel periodo imperversava in Piemonte. La balaustra fu posta in opera addirittura nel 1729.
In contemporanea con il nuovo altare, padre Francesco Amedeo Ormea commissionò la sua pala, facendola dipingere da Stefano Maria Legnani, detto Il Legnanino, forse approfittando del fatto che in quegli anni il pittore milanese era impegnato a Torino nella decorazione della cappella dei Mercanti e di alcuni appartamenti del Palazzo Carignano.
Il quadro riproduce un famoso episodio della vita di S. Filippo Neri: si racconta che nel 1544, mentre era in preghiera nelle catacombe di S. Sebastiano, apparve lo Spirito Santo sotto forma di un globo di fuoco da cui uscirono raggi di luce che andarono a colpire il Santo al cuore infondendovi un ardente amore per Dio, fino a provocarne una violenta palpitazione. Per questo in ogni raffigurazione del Santo compare il globo di fuoco come materializzazione dello Spirito Santo, il libro e il giglio. Qui San Filippo viene rappresentato nel pieno dell’estasi, sorretto da due angeli e sotto lo sguardo rapito di una schiera di altri angioletti.
Nelle raffigurazioni del Santo la fisionomia è derivata dalla maschera funebre di cera presa alla sua morte: ciò spiega come mai in questa pala egli venga rappresentato più vecchio di quanto in realtà fosse quando si verificò quell’episodio.
Verso la metà del ‘700, sulle pareti laterali della cappella furono collocati due quadri con scene della vita di San Filippo Neri. Di questi piccoli quadri il Bosio scrive che “sono di Franceschini Mattia, Torinese, dipinti nel 1754, come risulta da una lettera originale nell’archivio di San Filippo accuratamente custodito dal signor Carlo Montefamerio”. Di questa lettera non c’è più traccia: è uno dei tanti documenti che il Bosio poté vedere in casa dell’amico avvocato e che poi sono spariti in seguito alla dispersione di quell’archivio.
Mattia Franceschini era un allievo del Beaumont. Di lui Giuseppe Dardanello scrive che “… non ha goduto di una fortuna critica all’altezza del ruolo da lui interpretato nel Piemonte del Settecento, di gradevole divulgatore dell’eredità figurativa dell’ultima stagione juvarriana… “ e giudica la sua pittura “…composta e dolcemente accattivante, didascalicamente comunicativa, ravvivata nella squillante gamma dei chiari…”.
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