ALBERTO MASO GILLI: la vita

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Alberto Tommaso (Maso) Gilli  nacque a Chieri il 28 luglio 1840 da Vincenzo e Felicita Serra, di mestiere sarti, che abitavano in una casa di proprietà della famiglia Mens situata in Piazza delle Erbe (l’odierna piazza Umberto I): la casa è quella addossata all’Arco di Piazza, con sulla facciata la lapide dedicata al Gilli dalla città di Chieri nel giugno del 1899.

Alberto Tommaso rivelò doti artistiche non comuni fin da ragazzo, quando frequentava  la scuola serale di disegno organizzata dal Comune di Chieri e gestita dal pittore chierese Francesco Ferazzino. Di lui, e degli anni trascorsi insieme in quella scuola, così da  Avigliana, dove si era trasferito con la famiglia, scrisse al settimanale L’Arco un suo coetaneo, Francesco Corno: “« Il Gilli si distinse fra tutti e presentò per lavoro d’esame un acquerello chiaro scuro copiato da un basso rilievo in gesso che si conservava nell’ufficio dell’economo civico… Fin dai primordi de’ suoi studi si dimostrò un esatto copiatore di quanto gli capitava sott’occhio. La scuola sua era lo studio del reale, del vero e da questo non si staccava; l’amore di questa grande scuola lo si vede in tutti i suoi studi e lavori di pennello. Il suo dipingere non partecipava al fare di questo o di quell’altro maestro capo-scuola, ma era semplicemente il vero, il reale, ed il vero studio della natura lo si vede riprodotto ne’ suoi quadri per eccellenza”.

Viste le sue doti, e aiutati economicamente anche dal canonico Tamagnone, parroco di San Giorgio, i genitori lo iscrissero all’Accademia Albertina di Torino, dove per prima cosa si dedicò alla pittura, per la quale fu allievo di Carlo Arienti, Enrico Gamba e Andrea Gastaldi. Nel 1860, con un dipinto dal titolo “La vendetta del conte di Monforte”, oggi di ubicazione ignota, partecipò per la prima volta alle esposizioni della Società Promotrice di Belle Arti di Torino. Nella stessa sede,  nel 1863 presentò “Michelangelo nella cappella Sistina”, oggi esposto nella pinacoteca di Carrara; nel 1864 i dipinti “San Giorgio” e “Margherita  al Confessionale”, essi pure, oggi, di collocazione ignota. Nel 1865, a soli 25 anni, Andrea Gastaldi lo nominò suo assistente nella scuola di pittura. Nel 1869 tornò ad esporre alla Società Promotrice di Belle Arti con il quadro di ambientazione cinquecentesca “Una visita schernita”, oggi nella Galleria Civica d’arte moderna di Torino. Nel 1872, sia alla Promotrice sia all’Esposizione nazionale di Milano presentò il suo quadro più famoso: “Arnaldo da Brescia dopo il diverbio con papa Adriano IV” (Torino, Galleria civica d’arte moderna). Il quadro raffigura il frate eretico nel momento in cui rifiuta di inginocchiarsi davanti ad Adriano IV in segno di sottomissione. Tale fu il successo di quell’opera  che gli aprì le porte della Corte, diventandone ritrattista ufficiale: eseguì ritratti di Carlo Emanuele III, del Principe Tommaso di Savoia Carignano e di Margherita di Savoia.  Insieme all’Arnaldo da Brescia, all’Esposizione di Milano del 1872 Gilli presentò anche il dipinto “Lavater”, raffigurante lo studioso di fisiognomica J. K. Lavater a lavoro. Grazie ad esso gli venne conferita la cattedra di pittura presso l’Accademia di Tokyo: incarico che rifiutò.

Durante il periodo di studio all’Accademia Albertina nacque e si sviluppò in lui l’interesse per l’incisione. «Quando espose il suo Arnaldo da Brescia, quadro di gran mole, – prosegue il suo racconto Francesco Cornoespose contemporaneamente due figurine della grandezza di un mezzo foglio di carta protocollo: lavori eseguiti a penna, due incisioni addirittura. Rappresentavano una: Lettura sacra, l’altra: Lettura profana. Dal risultato di questi piccoli lavori conobbe che sarebbe riuscito nel disegno a bulino”. Perciò vi si dedicò con impegno sotto la guida di Agostino Lauro, che nell’Accademia Albertina era il titolare della cattedra di questa specialità. “E quando  a Torino si costituì  una società di acquafortisti, egli ne fece parte e divenne un collaboratore dell’Arte in Italia, pubblicazione edita dalla ditta Pomba. Continuò a perfezionarsi nell’arte della incisione, che gli procurò un nome, una posizione, guadagni ed il posto di professore e direttore della Regia Calcografia, nella qual carica disgraziatamente morì ancora in buona età. Il grande studio, il genio applicato alla ricerca del vero nell’arte, l’esattezza nel riprodurre ciò che vedeva, la pazienza lo fecero uno dei più distinti incisori da far onore al paese nativo ed all’Italia”. (L’Arco del 1° ottobre 1898). Fra le sue prime opere da incisore vi sono “I prigionieri di Chillon”, dall’opera omonima di Andrea Gastaldi , e, pubblicate su Arte in Italia, i ritratti di V. Vela, A. Antonelli e C. Arienti.  Nel 1873 lasciò l’Accademia Albertina per trasferirsi a Parigi, dove visse e operò per un decennio dedicandosi soprattutto all’incisione, in collaborazione con la rivista parigina  “L’Art” e con la Maison Goupil, ma continuando a collaborare con “L’Arte in Italia”.

Nel 1881 tornò a Torino dove l’Accademia Albertina, alla morte di Enrico Gamba, gli aveva conferito la cattedra di disegno. Nel 1883 il Municipio torinese gli diede l’incarico di sovrintendere alle scuole di disegno della città. In questa ultima veste si appassionò allo studio e alla ricerca dell’arredo medioevale, diventando stretto collaboratore di Andrea D’Andrade nella costruzione e nell’arredamento del Borgo Medioevale e del relativo Castello. Con Vittorio  Avondo collaborò al restauro e al completamento  dell’arredo del castello di Issogne, in Valle d’Aosta.

Nel 1885 si trasferì a Roma dove aveva avuto l’incarico di direttore della Regia Calcografia Romana, conferendo un apporto rilevante al suo rinnovamento e all’evoluzione della sua attività.  Vi rimase fino alla morte, che lo colse nella sua villa di Calvi nell’Umbria il 25 settembre 1894.

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